Giorno dei morti
Una delle usanze più sentite riguardava il giorno dei morti, e non è un caso:
nella religiosità popolare degli slavi i defunti sono collocati in una particolare sfera, a metà tra la terra e il mondo dei Celesti, e sono considerati gli intermediari dei desideri e delle speranze che i mortali intendono rivolgere a Dio, presso di Lui.
Per la ricorrenza dei morti era tradizione preparare la “ozikana” (primo piatto riservato ai rari pasti delle grandi occasioni) e la si lasciava assieme ad un fiasco di vino sul tavolo della cucina: quando tutta la famiglia andava a letto, la porta di casa rimaneva socchiusa (erano altri tempi !!!), per dar modo ai defunti durante la notte di poter entrare a rifocillarsi con la cena preparata appositamente anche per loro.
L’usanza, presso gli slavi assume un particolare rilievo, vista la dimensione animistica nella quale la loro visione religiosa inquadra sia il culto, che il ricordo dei defunti, i quali in varie occasioni sono sentiti come presenti nella vita dei mortali, che si rivolgono a loro come a una specie di domestici numi tutelari, secondo un rituale che risale forse a culti precristiani, che potrebbero anche essere quelli della religione pagana, da loro abbandonata quando vennero a popolare queste montagne, soppiantata dal cristianesimo.
Capitava abbastanza spesso che al mattino le famiglie non trovassero più il vino e l’”ozikana”. Si racconta infatti, che i giovani rincasando, pieni di fame, approfittassero della cena pronta e di un buon bicchiere di vino.
Fantuostrena
Era consuetudine che i ragazzi sotto i sedici anni non potessero uscire di casa dopo il suono dell'Ave Maria, cioè verso le otto di sera. Per poter essere autorizzati a farlo, erano costretti a pagare una specie di “dazio” ai vecchi celibi del paese. Questo fatto era considerato come un’iniziazione. I giovani dovevano pagare circa 2 litri di vino cadauno ma abitualmente il pagamento avveniva a gruppetti.
Il celibe più anziano del paese aggiungeva, in un bicchiere pieno di vino, ad ogni giovanotto un pezzo di sigaro e poi mescolava il contenuto. I ragazzi bevevano il contenuto del bicchiere tutto d'un fiato per dimostrare di essere diventati adulti. Naturalmente poi la maggioranza dei ragazzi stava male ma tutti erano comunque contenti perché da quella sera potevano uscire di casa senza più vincoli di orari.
Non c'era nulla di particolare fuori di casa, ma ci si sentiva quasi grandi, quasi uomini. Dopo l’”iniziazione” i più grandi bevevano quasi sempre da soli il resto del vino pagato dai principianti.
Carnevale
Famose furono le “carnevalate”. Durante tutto il carnevale, gli uomini si riunivano a preparare abiti, dialoghi, scene e gareggiavano a chi faceva meglio, per rendere l’ultimo giorno di carnevale indimenticabile, almeno per un anno. A volte la manifestazione assumeva la forma di vera e propria lite. Tutti i fatti, più o meno riprovevoli, accaduti o che si supponeva sarebbero dovuti accadere durante l’anno che era trascorso, venivano rievocati, rinfacciati, rappresentati, con scene dal vero.
Si fronteggiavano un borgo contro l’altro, anche un borgo contro una famiglia e mentre si rievocavano le scene, con gli appositi cortei e costumi, si lanciavano invettive, correvano parole grosse, ingiurie, che a volte passavano i limiti e finivano in randellate. Finita la scena però, allo scoccar della mezzanotte, tutto si interrompeva come per incanto, gli animi si calmavano, si passava dal pianto al riso come se nulla fosse accaduto, e tutti si riunivano e facevano la pace, con strette di mani e buone bevute.
La guerra 1915-18 abbassò il tono di queste feste fino a farle sparire ed ora non sono più che un lontano ricordo.
Più recentemente ci si limitò a ballare, bere, e a far baldoria. La sala da ballo si trovava a Borgo Sbargan e qui si riunivano anche tanti avventori provenienti da Cesariis, Pradielis e Vedronza. Si ballava sulla musica della fisarmonica di Domenico Lazzaro (Jeroni) che scendeva da Flaipano nonostante la cecità dovuta ad una mutilazione di guerra. Più tardi venne sostituito nell’intrattenere gli ospiti anche dal figlio Graziano. La sala da ballo non era molto grande ed il pavimento era costituito da assi in legno e poiché l’affluenza era massiccia, spesso si puntellavano i pali trasversali per non rischiare di far sprofondare tutto.
Molto spesso, poiché il denaro non abbondava, si raccoglievano generi alimentari (uova, formaggio, burro) che venivano consegnati ai fisarmonicisti quale rimborso spese.
Matrimoni (dalla monografia sull’Alta Val Torre di Alessandra Ferrari)
Si racconta che un tempo ci si sposava vestiti miseramente, con le “dalmine” ai piedi, e non si facevano grandi feste. La sposa usciva dalla propria casa e seguiva lo sposo senza portar nulla con sé. Solitamente assistevano al rito i testimoni, i genitori e qualche stretto parente oppure anche i soli testimoni. Dopo la cerimonia nella chiesa di Flaipano (e prima in quella di Montenars) gli sposi tornavano a casa dove trovavano, i più abbienti, la “ozikana” ed i più poveri un po’ di polenta e frico. Molto spesso, il giorno stesso del matrimonio, gli sposi, si recavano a lavorare nei campi o nel bosco.
Sull’imbrunire la sposa ritornava da sola alla casa paterna per ricevere il corredo che consisteva solitamente in: due lenzuola, due abiti, due paia di calze, due camicie, due grembiuli, un paio di pappucce, un fazzoletto da testa ed uno da naso. Col corredo chiuso nel grembiule che aveva indossato per la cerimonia, quando la notte era calata, tornava alla casa del marito, cercando di non farsi notare da nessuno.
Si racconta ancora che le spose di Pers, anticamente, appena finita la cerimonia delle nozze ed il pranzo, dovevano sfuggire di nascosto al marito e rendersi introvabili per tutta la notte. Il marito doveva faticare per ritrovarle, perché solo così il matrimonio avrebbe avuto fortuna. Poiché la superstizione (anche a causa dell’ignoranza) era ben radicata, la prima settimana del matrimonio la sposa non doveva uscir di casa in certe ore e quando s’accorgeva di essere incinta, doveva incrociare il pollice e l’indice quando incontrava una donna ed abbassare gli occhi quando vedeva un anziano ecc.
Se la sposa non apparteneva al paese dello sposo, i giovani del paese a funzione finita, quando gli sposi uscivano di chiesa, tagliavano loro la strada con una stanga e lo sposo doveva pagare una quota stabilita dai giovani stessi. Se questi accettava di buon grado, la stanga veniva tolta subito, ed i giovani festeggiavano gli sposi con canti e grida. Se non accettava di pagare, il passaggio per la strada era vietato, e quindi gli sposi dovevano continuare il cammino lungo qualche impervia e nascosta via. Questo però, accadeva molto raramente poiché tutti erano rispettosi dell’usanza.
Se un vedovo sposava una nubile, gli facevano il “batirul”. Quando gli sposi entravano in casa, i giovani del paese, armati di latte vuote e di bastoni circondavano loro la casa e cominciavano a fare la serenata, facendo un fracasso d’inferno che durava tutta la notte e più notti di seguito.
Festa del ringraziamento
Per ricordare lo scampato grosso pericolo corso dopo il rastrellamento, eseguito dalle truppe di occupazione, 15 gennaio 1945, in seguito al cruento combattimento del 13 gennaio quando parecchie decine di “Brieseni” rischiarono la fucilazione, ogni anno a Pers si celebrava la “festa del ringraziamento” con tre giorni preceduti da una funzione religiosa e poi bevute e danze a non finire.
A Borgo Sgarban presso l’osteria, prima gestita da Maria Sgarban e poi dalla famiglia di Emilio Battoia convenivano giovani da tutto il comune e dai vicini Flaipano e Stella. Non mancavano anche avventori di Gemona. Anche in quest’occasione ad allietare le serate scendeva da Flaipano Domenico Lazzaro prima ed il figlio Graziano poi. In seguito iniziarono le prime apparizioni di Silvano. Era una delle poche occasioni (assieme naturalmente al carnevale) dove si poteva dar sfogo alla propria esuberanza.