Blog

13 gennaio del '45. Il conflitto mondiale a Pers non risparmia nemmeno i ragazzini!

13 gennaio del '45. Il conflitto mondiale a Pers non risparmia nemmeno i ragazzini!

Dai ricordi dei nostri anziani, si apprende che Antonia Cragnolini (conosciuta come Rinalda)

- coordinatrice dei partigiani rifugiati nella zona di Pers - avesse la necessità di trasportare da Tarcento a Pers viveri e vettovagliamento destinati all'approvvigionamento dei partigiani stessi. Per evitare spostamenti di uomini che avrebbero potuto incorrere, con maggior facilità, in possibili controlli da parte delle milizie tedesche, vennero individuate 4 ragazze per fare da "portatrici". Di buon mattino, il 13 gennaio queste giovani scesero a Tarcento, per ritirare i pacchi che erano stati trasportati con mezzi pubblici da Udine fino a Tarcento.

     Del gruppo di ragazze facevano parte Rina Cragnolini, Maria Durlicco (detta Marizza), la stessa Rinalda e una quarta ragazza della quale non si ricorda il nome. Vennero caricati in ampie gerle i pacchi confezionati ed il gruppo decise di fare ritorno a Pers salendo dalla parte di Stella, onde evitare di passare per Vedronza, dove si trovava un presidio militare tedesco. Appena giunsero nelle vicinanze di Stella, si avvicinarono 4 giovani partigiani che si offrirono di portare le gerle per un tratto di strada, affidando alle ragazze i fucili che erano molto meno pesanti.

     Prima di raggiungere l'abitato di Flaipano, il loro cammino venne però bruscamente interrotto dal crepitio delle mitragliatrici delle milizie, che erano salite da Artegna, e che stavano eseguendo dei controlli in quella frazione. I partigiani, impauriti, ripresero in mano i loro fucili e posarono in terra le gerle, invitando tutti a fuggire per non cadere nelle mani degli invasori. A quel punto Rinalda decise di fare dietrofront e così le quattro ragazze ritornarono fino alla prima abitazione di Stella, dove abitava l'oriunda Maria Durlicco (zia di Vittorio e Gino Crapiz) e qui nascosero tutta la merce sospetta nel fienile. Liberatosi dell'ingombrante fardello, il gruppo riprese poi il cammino verso Pers, con le gerle vuote.

     Nello stesso giorno, anche un secondo gruppetto di ragazze - composto da Nelda Marchiol, Argentina Durlicco e Romilda Moro - stava scendendo verso Artegna per i normali approvvigionamenti alimentari. Quando giunsero a Montenars, scorsero un gruppo di cosacchi e di repubblichini che, provenendo da Artegna, stavano salendo in direzione di Flaipano. Gli invasori, giunti a Montenars, incrociarono Luigi Cragnolini (figlio di Giovanni e Maria Crapiz, nato a Flaipano - Montenars il 17 ottobre 1901) al quale chiesero informazioni sulle truppe partigiane che si nascondevano tra Flaipano e Pers. Dopo aver ricevuto una risposta negativa dal Cragnolini lo costrinsero comunque a guidarli fino a Pers.

      Le ragazze, incuriosite dal passaggio della truppa, entrarono nel Bar Cooperativa di Montenars chiedendo se qualcuno fosse in grado di indicar loro dove questi erano diretti. Appena seppero che i militari erano diretti anche a Pers, alla ricerca di partigiani, decisero di inseguirli. Giunte nei pressi di Flaipano, imboccarono alcune scorciatoie che ben conoscevano e scesero di corsa verso il Torrente Vedronza. La loro corsa fu parzialmente rallentata da alcune decine di centimetri di neve ma, nonostante ciò, riuscirono a raggiungere Pers in tempo per dare l'allarme. Le truppe, nel frattempo, rallentarono la loro marcia a Flaipano dove fecero una prima sommaria verifica ed utilizzarono anche i mitra i cui colpi bloccarono il cammino del primo gruppo di ragazze e dei partigiani provenienti da Stella. I partigiani, appena appresero l'informazione, anziché scappare come erano soliti fare, decisero di affrontare il gruppo e scesero lungo la mulattiera che porta al "ponte romano", appostandosi nella zona denominata "Barsanaviza".

     Appena scorsero le truppe nemiche che scendevano da Flaipano, aprirono il fuoco uccidendo 5 militari (3 cosacchi e 2 repubblichini). Avendo notato il Cragnolini vestito in borghese, alla guida del gruppo, cercarono di non colpirlo consentendogli di nascondersi dietro ad un mucchio di legna che si trovava nelle vicinanze. Purtroppo, il malcapitato non fece i conti con i cosacchi che, probabilmente, per vendicarsi dell'improvviso attacco partigiano, non esitarono a freddarlo da pochi passi.

     L'immediata reazione dei militari coinvolse anche tre ignari ragazzini che casualmente si trovavano nei pressi del mulino, lungo il corso del Torrente Vedronza, ferendoli in modo grave. Una pallottola perforò un ginocchio di Pietro Sabotich e successivamente colpì all'addome Mario Durlicco, figlio di Domenico e Veneranda Lazzaro, nato a Pers il 3 novembre 1934. Un terzo ragazzino, Lino Cragnolini, non venne fortunatamente coinvolto nell'aggressione e riuscì a fuggire senza alcun problema, andando a riferire in paese quanto avvenuto. Subito si provvide a recuperare i feriti ed il Durlicco venne riportato a Pers. A causa della ferita molto grave, morì la mattina dopo. Sabotich, invece, venne trasportato all'ospedale di Gemona da Tranquilla Crapiz poiché i maschi della frazione non si fidavano di raggiungere Gemona. Qui subì un primo intervento al ginocchio ferito e la successiva immobilizzazione dell'arto con una gessatura, riuscendo a guarire in un tempo relativamente breve. Non vi è certezza, però, che a colpire i ragazzini siano stati effettivamente i cosacchi in quanto le traiettorie delle pallottole sembrerebbero avvalorare l'ipotesi che siano stati gli stessi partigiani a ferirli.

     Nel frattempo Rina e le altre ragazze, che stavano rientrando da Flaipano scendendo lungo la mulattiera, passarono (in località Briscobardo) accanto ai corpi privi di vita dei cosacchi appena uccisi e riversi in pozze di sangue rese ancor più evidenti dal sottostante manto nevoso; proseguirono il rientro a casa, senza alcun problema. Alcuni militari giunsero fino in paese, ma per quel giorno non ci fu alcuna ritorsione. Si apprese in un secondo tempo che i militari rimasti incolumi nella sparatoria, dopo aver recuperato quanto possibile alle vittime, fuggirono risalendo verso Flaipano e si dileguarono senza lasciar traccia. Appena appreso dell'accaduto, nel timore della rappresaglia, parecchie persone e soprattutto la maggior parte dei bambini si rifugiarono in fretta e furia nella vicina Cesariis, presso parenti ed amici.

     Stranamente, anche il 14 gennaio non successe nulla di particolare, e tutto lasciava presagire che la sparatoria non avesse lasciato gravi conseguenze per la popolazione. Il 15 gennaio, però, di prima mattina, un gruppo di tedeschi arrivò in paese da Cesariis, provenienti dal Comando Militare di Vedronza. Si racconta che una signora riferì loro quanto accaduto due giorni prima. Appena vennero a conoscenza del combattimento costrinsero alcuni abitanti di Pers (gran parte ragazze fra cui Tranquilla Crapiz e Rina Cragnolini ) a seguirli per indicare loro il luogo dove giacevano i morti. Dopo la sparatoria infatti i poveri caduti erano rimasti abbandonati sul luogo dell'incidente e furono coperti dalla neve e da sassi, e solo seguendo le tracce del sangue vennero ritrovati.

     I corpi furono trasportati sul piazzale prospiciente la costruenda chiesa di Pers, in località “Slaifera”, con un'operazione particolarmente difficoltosa poiché la mulattiera era ricoperta da un consistente strato di neve e siccome erano particolarmente pesanti, non furono utilizzate portantine, ma misere coperte trascinate a braccia. Gran parte delle portatrici, inoltre, indossavano calzature di fortuna poiché i tedeschi non avevano loro permesso di indossare calzature pesanti. Dai racconti degli anziani si apprende che in un primo momento fu trasportato a Pers anche il corpo del malcapitato Cragnolini, dove venne poi prelevato dagli amici di Flaipano per essere degnamente sepolto nel suo cimitero. Da quanto si evince, invece, dal diario parrocchiale, sembra che il Cragnolini fosse stato ritrovato, dopo due giorni di ricerche, sotto la neve anche lui coperto di sassi. I suoi funerali furono comunque celebrati il giorno 16.

     Dopo una giornata trascorsa senza grossi problemi, la rappresaglia tedesca non si fece attendere. Lo stesso giorno, infatti, i militari, dopo aver recuperato i 5 cadaveri, iniziarono la perquisizione di tutte le case del paese nella speranza di trovare nascosti i partigiani colpevoli dell'aggressione. Questi però, avevano già raggiunto i rifugi sicuri posti sotto la parte rocciosa del Cuel di Lanis. I tedeschi costrinsero gli uomini, le donne ed anche i pochi bambini in tenera età (una trentina di persone), che erano rimasti in loco, a seguirli nei pressi della chiesa in località Slaifera. Vennero sistemati in una lunga fila, a ridosso del muro di cinta del cimitero. Senz'altro, non mancarono le implorazioni di aiuto, particolarmente da parte dei più devoti, alla Madonna della Guardia che a breve avrebbe trovato dimora nella vicina chiesa, prossima alla consacrazione.

     Quando, oramai, tutti i prigionieri erano rassegnati al peggio ed il plotone di esecuzione, già schierato, aspettava soltanto l'ordine di sparare, si verificarono due fatti imprevisti, tali da far sospendere l'esecuzione. Nell'attesa dell'arrivo del superiore tedesco, che doveva dare l'ordine di sparare, i militari continuavano a minacciare i presenti con frasi tipo "Kamerata Kaputt", e puntavano le armi mimando un possibile sparo.

     Quando i tedeschi ebbero oramai quasi completato il rastrellamento, vennero ritrovati, a Borgo Sgarban (stalle Podolinica) i fratelli Ermenegildo Sgarban - (chiamato Gino - nato il 12 maggio 1905) ed Eugenio Sgarban (nato il 03 agosto 1896) che avevano tentato di rifugiarsi in un fienile, sotto uno strato di fieno. Purtroppo vennero raggiunti dai tedeschi, e siccome lo strato di fieno non era sufficientemente spesso, vennero infilzati con le forche e furono quindi costretti ad uscire allo scoperto. Poiché risultarono gli unici ad essersi nascosti, vennero subito sospettati di essere partigiani e vennero immediatamente arrestati, e, successivamente, portati in campo di concentramento.

     All'arrivo del graduato tedesco, Anna Colombo, moglie di Virgilio Crapiz, che conosceva abbastanza bene la lingua tedesca, cercò di convincere i militari a desistere dalle proprie minacciose intenzioni. Cercò di spiegare loro che, fra la popolazione arrestata non c'era alcun partigiano e che questi ultimi erano, invece, annidati, al sicuro, negli anfratti delle rocce e roccette che si trovano in cima al Monte Cuel di Lanis; additò loro anche i precisi punti, dove essi si trovavano. Spiegò anzi, che la popolazione spesso era succube dei partigiani che nelle loro scorribande, si appropriavano dei pochi beni di sussistenza della già povera popolazione.

     Fortunatamente, il superiore tedesco, convinto dalle affermazioni dell'improvvisata interprete e dall'affabilità femminile, e, forse, anche parzialmente soddisfatto per aver arrestato i due presunti partigiani sotto il fieno, decise di far riporre i fucili consentendo alle donne e ai bambini il ritorno alle proprie case. Probabilmente, la decisione di sospendere l'esecuzione venne presa anche perché nell'agguato non morirono soldati tedeschi, ma solo alleati. Gli uomini presenti, invece, vennero costretti a trasportare i morti fino a Vedronza dove c'era la sede del comando tedesco, ubicato nei pressi della centrale idroelettrica. Il gruppo di uomini, costituito da una quindicina di unità, giunto a destinazione, non fece però subito ritorno a casa, ma tutti vennero trasferiti nelle carceri di via Spalato a Udine dove subirono gravi minacce e importanti torture per oltre una settimana. Nonno Ernesto Lazzaro raccontava che, per oltre un mese, non riusciva a mettersi la giacca per le frustate prese sulla schiena.

     Si racconta che, durante la loro permanenza a Udine, un attacco dei partigiani alle carceri udinesi, liberò, di fatto, i nostri prigionieri, ma questi non approfittarono di fuggire per non incorrere in eventuali peggiori conseguenze nel caso fossero stati nuovamente ripresi dai militari tedeschi. La loro scelta fu azzeccata, infatti, quando i tedeschi ripresero il controllo delle carceri, liberarono fortunatamente tutto il gruppo che riuscì a far ritorno a Pers, ad eccezione dei due fratelli Sgarban, che invece furono deportati e non fecero mai più ritorno al loro paese natio.

     A ricordo dei tre caduti, che perdendo la loro vita probabilmente salvarono quella di tanti altri compaesani, venne costruita una prima targa ricordo, affissa all'esterno della vecchia chiesa, sopra i resti della bomba, e nel 1992, venne posata una lapide all'esterno del cimitero di Pers, su iniziativa dell'alpino Tranquillo Marchiol.

     Per festeggiare lo scampato pericolo e l'inaspettata liberazione i "Brieseni" ricordarono per decenni l'accaduto con tre giorni di festeggiamenti, nei giorni 13/14 e 15 gennaio. Con il naturale calo della popolazione, questa festa tradizionale perse pian piano la sua importanza. Probabilmente, per una reazione istintiva al trattamento subito nelle carceri di Udine, parecchi uomini divennero accesi comunisti.

     Durante la seconda guerra mondiale, furono abbastanza frequenti i transiti di cosacchi (che spesso si muovevano con le famiglie al seguito), tedeschi e di fascisti che, al loro passaggio, saccheggiavano tutto quanto era possibile quando non tentavano anche di violentare le giovani del luogo. Sembra che spesso le nostre milizie fasciste vestissero divise tedesche per non essere facilmente riconoscibili. Infatti, a una ragazza, un presunto militare nazista, dopo un primo approccio in un tedesco stentato, quando si rese conto che questa non capiva la lingua, si rivolse a lei in perfetto friulano dicendo "Ven cà " (vieni qui) con il chiaro intento di approfittare di lei. L'intimorita popolazione dovette escogitare tantissimi sotterfugi per poter sfuggire ai saccheggiamenti, e, quasi sempre, gli scarsi viveri disponibili in casa, venivano nascosti nei posti più impensabili.

     Quando giungevano le truppe incaricate di fare rastrellamenti e controlli, gran parte dei maschi rimasti in paese fuggivano a piedi per i boschi per raggiungere un luogo abbastanza sicuro nel "Pineit". Poiché da quel punto si potevano facilmente scorgere le ultime case di Pers, fu escogitato un trucco per inviare dei segnali ai fuggitivi. L'esposizione di un lenzuolo bianco significava, infatti, via libera ad un ritorno a casa poiché le truppe degli invasori se n'erano andate; mentre, l'esposizione di una coperta significava che le milizie tedesche erano ancora presenti in loco.

 [GALLERIA DI FOTO]


Stampa   Email